Benedetto XV, un papa profetico (ma trascurato)

Il 22 gennaio di cent’anni fa moriva Benedetto XV, al secolo Giacomo della Chiesa. Molto caro a Joseph Ratzinger, è ricordato dai più per le parole sull’«inutile strage» della Prima Guerra Mondiale e l’impegno per la pace. Ma ebbe meriti in tanti altri campi, dai rapporti con gli orientali alla risoluzione della questione modernista. E favorì la musica sacra, promuovendo la riforma di san Pio X, suo immediato predecessore.

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Grande Guerra, scopriamo l’arma in più del fante contadino

La vita di trincea della Prima guerra mondiale chiese ai soldati italiani qualcosa in più delle sole forze umane. Per riuscire a vincere la paura, resistere alla sofferenza e poi, addirittura, ribaltare le sorti di Caporetto, ci fu un’unica arma.

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Il card. Caffarra accusa la sua Emilia: “Aberrante: i bambini non si comprano!”

Il cardinale emiliano stronca l’acquisto di gameti femminili della Regione. “Gravissimo trattare cellule umane come un appalto. Verranno spesi 650 mila euro di soldi pubblici per ingannare donne sottoposte a trattamenti mostruosi. Così la veterinaria entra nell’umano”. Nell’intervista con la Nuova BQ, i mea culpa per vescovi che hanno abbandonato la Dottrina e l’urgenza di una battaglia educativa: “Non possiamo stare fermi, Gesù ci invita a gridare dai tetti”.

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Cento anni fa, il 3 settembre 1914, l’elezione di Giacomo della Chiesa. Capì per primo come tutto stava cambiando

di Gianpaolo Romanato

Se il conclave del 1903 era stato carico di tensione a causa del veto austriaco, quello del 1914 fu addirittura convulso per via di un evento ben più drammatico: la guerra. I cardinali entrarono infatti in clausura il 31 agosto, esattamente un mese dopo l’inizio del conflitto. Si trattava di eleggere il nuovo Papa mentre su tutti i fronti d’Europa scorrevano già fiumi di sangue. E i cardinali elettori venivano proprio dai Paesi coinvolti: sei erano francesi, quattro austro-ungarici, due inglesi, uno belga, uno olandese. Gli unici estranei al conflitto, che avrebbero potuto portare una parola più pacata — tre nordamericani — rimasero fuori dal conclave perché arrivarono a Roma quando il Papa era già fatto. Il clima che si respirava in Vaticano è ben esemplificato da Ernesto Vercesi nelle sue memorie: «Non parliamo di guerra», avrebbe detto conciliante il cardinale Hartmann, tedesco di Colonia; «Non parliamo di pace», gli avrebbe risposto gelido il cardinale Mercier, belga di Malines.

I grandi elettori furono 57 su 65 aventi diritto. Otto risultarono assenti, o per la distanza o per le condizioni di salute. L’ago della bilancia, ancora una volta, furono i 31 porporati italiani, che non raggiungevano però la maggioranza. L’Italia si era dichiarata neutrale e quindi l’elezione di un italiano parve la meno compromettente, ma diversi nomi (Domenico Ferrata e Antonio Agliardi, soprattutto) dovettero essere scartati per il servizio diplomatico precedentemente prestato nelle capitali ora in guerra. Potevano avere maturato simpatie, contratto debiti, annodato legami. La rosa così si restrinse e nella piccola scialuppa dei nomi superstiti (il benedettino Domenico Serafini, il cardinale Vicario Basilio Pompilj, il pisano Pietro Maffi) emerse la candidatura dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Giacomo della Chiesa. Aveva sessant’anni, una lunga esperienza diplomatica (ma maturata in Spagna, lontano dai luoghi ora in guerra) e un’altrettanto robusta esperienza in Curia. Da sette anni era a Bologna, ciò che ne aveva completato il curriculum, arricchendolo con un solido respiro pastorale.

Non era notoriamente un beniamino di Pio X, che l’aveva promosso al cardinalato quasi in extremis, nell’ultimo dei suoi concistori, due mesi prima di morire, sembra per le insistenze di Merry del Val. Ma il distacco dall’ambiente del Pontefice defunto giocò a suo favore. C’era infatti da sopire il clima antimodernista che aveva tormentato gli ultimi anni del Papa trevigiano. Vescovi e cardinali chiedevano che nella Chiesa il vento della repressione si placasse, che certi personaggi fossero ridimensionati. E l’arcivescovo di Bologna parve la persona adatta. Non aveva compromissioni con i modernisti, ma dopo l’assunzione della cattedra bolognese si era sempre tenuto alla larga dalla Roma di Pio X. E poi veniva dalla più collaudata scuola diplomatica pontificia, quella di Mariano Rampolla del Tindaro (il grande sconfitto del conclave del 1903), di cui era stato il più fidato collaboratore sia durante la nunziatura in Spagna sia negli anni della sua Segreteria di Stato. Una garanzia, per chi doveva condurre la Santa Sede nel ciclone della guerra.

pandoaoqeavFu così che il 3 settembre del 1914, al decimo scrutinio e dopo tre giorni di conclave, Giacomo della Chiesa divenne Papa, sembra con 38 voti, esattamente il quorum necessario per l’elezione, ciò che rese necessario, pare, il riconteggio dei voti e il controllo scrupoloso del suo voto. In base alle severissime norme sul conclave emanate da Pio X, se l’eletto avesse votato per sé (le schede erano riconoscibili) l’elezione sarebbe stata nulla. I cardinali nordamericani che arrivarono allora a Roma appresero così che, senza il loro apporto, la Chiesa aveva un nuovo Papa e si chiamava Benedetto XV. Un nome che non compariva da più di centocinquant’anni e che era appartenuto, nella prima metà del XVIII secolo, all’unico grande Papa del Settecento, Prospero Lambertini, anch’egli assurto alla cattedra petrina dall’arcivescovado bolognese.

Piccolo di statura, con lineamenti del volto irregolari e un colorito perennemente pallido, Benedetto XV non aveva né il tratto umano del predecessore né il phisique du rôle di colui che sarà il suo successore. Ma aveva lo spessore intellettuale, la padronanza dei problemi e la capacità di governo che occorrevano in quel momento. Il suo pontificato durò poco, solo otto anni, ma furono anni assolutamente decisivi per il mondo e il cattolicesimo. La guerra, gli iniqui trattati di pace (nonostante i quali «restano i germi di antichi rancori», come scrisse nell’enciclica Pacem Dei munus del 23 maggio 1920); la dissoluzione di un ordine internazionale centrato sull’Europa e la nascita di un mondo nuovo tutto da costruire, la scomparsa di quattro Imperi (tedesco, austro-ungarico, russo, ottomano); la rivoluzione bolscevica; la comparsa di nuovi Stati e l’esplosione di una miriade di incontenibili nuovi nazionalismi; il germe, allora imprevisto, di quella che oggi è la drammatica questione medio-orientale; l’inizio delle stragi di massa, di cui rimase vittima la popolazione armena, che renderà necessario coniare la parola genocidio, fino ad allora sconosciuta a tutti i vocabolari.

Fu questo lo sfondo tragico e grandioso del pontificato di Benedetto, che dovette operare essendo ancora irrisolta la “Questione romana”, con pochi mezzi, di fronte alla diffidenza di tutti, ed essendo escluso, a causa del veto italiano, dalla Conferenza di Parigi. L’unica certezza su cui poteva contare era la Chiesa, moralmente purificata dall’operato del suo predecessore, rinsaldata attorno al vincolo di fede, finalmente libera da asservimenti politici e da tentazioni nazionalistiche, unificata attorno a un’unica legge dal Codex iuris canonici, che l’avrebbe proposta come la prima vera entità globale del Novecento. Benedetto raccolse insomma la migliore eredità di Pio X, e si mosse nel solco che questi aveva aperto.

Su queste basi appoggiò le iniziative che hanno reso duratura la sua azione: la capillare opera umanitaria a favore di prigionieri e dispersi (Francesco Saverio Nitti ritrovò suo figlio, prigioniero in Austria, grazie all’intervento vaticano); la celebre Nota del 1° agosto 1917 con l’inciso sull’«inutile strage» e le proposte per una pace fondata sulla giustizia e il diritto; il profondo rinnovamento del metodo missionario, che avviò la fondazione di quelle che oggi sono le giovani Chiese nei Paesi ex coloniali; il recupero all’obbedienza romana della cattolicità dell’Est europeo, dopo la dissoluzione dell’Austria-Ungheria e la fine del sistema delle Chiese di Stato (grazie anche all’operato di Achille Ratti, nunzio a Varsavia, che poi gli succederà); l’abrogazione del non expedit, che in Italia liberò i cattolici e pose definitivamente fine al clericalismo antinazionale, sollevando il laicato dalla responsabilità di dover gestire la “Questione romana”.

Dalla fragile cittadella vaticana, tenuta sotto controllo da tutte le parti in lotta, egli colse perfettamente l’epocale cambiamento che stava avvenendo e lo descrisse con queste parole in una lettera confidenziale all’imperatore d’Austria, scritta solo un mese prima della conclusione del conflitto, alla fine di settembre del 1918: «Nella presente situazione internazionale chi decide della pace e della guerra non è né l’Italia, né l’Inghilterra, né la Francia, ma unicamente il Presidente della grande Repubblica americana; egli solo può imporre come la conclusione della pace, così la continuazione della guerra; ed egli solo vuol dettare la pace nel tempo che gli resta della sua ultima presidenza». Era finita l’Europa e stava iniziando l’impero americano.

Nella galleria dei Papi novecenteschi Benedetto XV è rimasto finora in ombra. Ma, pur mancando ancora una sintesi storiografica adeguata alla sua importanza, la centralità del suo pontificato è ormai un dato acquisito.

L’eredità sconosciuta
Tra i vari anniversari della grande guerra l’elezione di Papa Benedetto XV, il 3 settembre 1914, rischia di essere uno dei meno citati. Papa Benedetto è uno dei meno noti fra i Pontefici che hanno guidato la Chiesa nell’ultimo secolo; non a caso lo storico John Francis Pollard ha intitolato la sua biografia The Unknown Pope, il Papa sconosciuto e in un certo senso questo sembra essere giustificato dai fatti, scrive Francis Xavier Rocca sul «Catholic News Service» dello scorso 29 agosto: il suo pontificato durato sette anni e mezzo fu relativamente breve e singolarmente avaro di successi, almeno secondo la mentalità del mondo.

In realtà Papa Benedetto XV lasciò una solida eredità alla Chiesa, consolidandone il ruolo di interlocutore imparziale in tema di guerra e di pace. Il cardinale Giacomo della Chiesa, arcivescovo di Bologna, venne eletto Papa meno di sei settimane dopo lo scoppio della prima guerra mondiale e subito iniziò una campagna contro il conflitto in corso. I suoi sforzi giunsero al loro apice nella Nota ai capi dei popoli belligeranti del 1° agosto 1917, in cui li invitava a deporre le armi e ad affidare a un arbitrato internazionale le questioni all’origine del conflitto. Sforzi che non sortirono effetti positivi, anche a causa della debolezza della diplomazia vaticana dell’epoca. «Nel 1914 — scrive Pollard nel suo libro — il Vaticano aveva relazioni diplomatiche solo con due grandi potenze, l’Austria-Ungheria e l’impero russo. E con quest’ultimo i rapporti non erano affatto buoni». Il presidente degli Stati Uniti d’America, Woodrow Wilson, che fece entrare la sua nazione in guerra nel 1917, era stato molto evasivo nel recepire gli appelli del Papa. Quando la guerra finì, nel novembre del 1918, il Vaticano non fu invitato alla conferenza di pace di Parigi. Profeticamente, Papa Benedetto XV criticò il trattamento punitivo imposto alla Germania, che poi avrebbe preparato il terreno all’ascesa di Adolf Hitler. «Quando — scrive Pollard — Giacomo della Chiesa morì, nel 1922, il Vaticano aveva relazioni diplomatiche con quasi tutte le grandi potenze, compresa la Germania, tranne gli Stati Uniti d’America e la Russia». Il Pontefice aveva lasciato in eredità una rete diplomatica tanto preziosa quanto poco appariscente.

© L’Osservatore Romano, 2 settembre 2014.