Intervista a Martin Mosebach: Il nemico è l’eresia dell’informe

Martin Mosebach è uno tra gli scrittori tedeschi più importanti dell’epoca contemporanea. Ha pubblicato per Cantagalli di Siena il libro L’eresia dell’informe – La liturgia romana e il suo nemico, di cui è appena uscita una nuova edizione.

di Maurizio Caverzan (23-12-2023)

Autore di romanzi, racconti, poesie, libretti per opera e saggi su arte e letteratura, reportage e argomenti religiosi, storici e politici, nato a Francoforte sul Meno dove risiede e da dove parte per i suoi viaggi, molti dei quali diretti nell’amata Italia, Martin Mosebach è uno tra gli scrittori tedeschi più importanti dell’epoca contemporanea. Insignito di numerosi riconoscimenti e premi, tra cui quello della Fondazione Konrad-Adenauer-Stiftung del 2013, oltre al saggio sui 21 martiri copti con prefazione del cardinal Robert Sarah, ha pubblicato per Cantagalli di Siena, sempre nella collana Speamanniana diretta da Leonardo Allodi, L’eresia dell’informe – La liturgia romana e il suo nemico, di cui è appena uscita una nuova edizione.

Perché ha deciso di ampliare il suo saggio in difesa della messa antica?

La battaglia per salvare l’antico rito romano è entrata in una nuova fase. Quando il libro è apparso per la prima volta in Germania (2001), vivevano ancora molti fedeli che dalla loro giovinezza conservavano precisi ricordi del rito tradizionale e che hanno accolto la sua perdita con profondo dolore. Nel frattempo è sorta una nuova generazione che si è impegnata a favore della tradizione come rimedio contro la banalità che si è introdotta nella Chiesa latina a partire dalla riforma della messa. Che più che una riforma è stata una rivoluzione.

In che cosa consiste sinteticamente l’eresia dell’informe?

Nell’errore che il contenuto della fede possa rimanere invariato quando se ne modifichi la forma dell’espressione. È ormai evidente che la fede della Chiesa attraverso la nuova forma della messa è stata gravemente danneggiata.

Nel cristianesimo la liturgia è rituale perché Cristo è il Dio incarnato?

La Chiesa non intende la liturgia come opera degli uomini, ma come agire di Dio, che s’incarna sempre di nuovo sugli altari come sacrificio per la salvezza. Questa realtà può essere percepita come credibile soltanto se la soggettività dei partecipanti è per quanto possibile invisibile. La sottomissione al rituale rende chiaro a ciascuno che attraverso di esso non si vogliono realizzare individui, ma renderli strumenti per l’azione di Dio.

Qual è il nemico della liturgia romana?

L’idolatria della soggettività. Il capovolgimento della fede nel Cristo storico in un mito astorico e non dogmatico. L’indisponibilità alla bellezza, che Platone chiama apeirokalia, e l’amore per la deformità. Il disconoscimento del fatto che la tradizione non è un fardello per la Chiesa, ma la sua natura.

Che differenza c’è tra la “riforma” introdotta alla fine del Concilio Vaticano II e i mutamenti che pure ci sono stati nel corso dei secoli nella liturgia?

Naturalmente nei secoli si sono avute molte modificazioni della liturgia, non può essere altrimenti. Si osservi soltanto la differenza fra una basilica romana, una cattedrale gotica e una chiesa barocca. Tuttavia più importante è ciò che è rimasto sempre uguale: l’orientamento del celebrante insieme alla comunità verso il Signore che ritorna da Oriente, la lingua del culto e la teologia del sacrificio. Le modificazioni avvenute in modo organico non hanno modificato nulla nella loro evoluzione e si sono compiute in modo anonimo senza che vi sia stato distintamente un autore definibile come tale, un riformatore esterno che a un certo punto è intervenuto d’autorità. La celebrazione della messa da papa Gregorio Magno fino al 1968 aveva in comune assai più di quanto non avesse di divergente.

Si può dire che nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito alla de-sacralizzazione, protestantizzazione e democratizzazione del rito?

Forse questo non era l’intento dei “riformatori”, tuttavia il risultato è questo. In un paese come la Germania, con tanti protestanti quanti cattolici, sulle questioni di fede non c’è più alcuna differenza fra le confessioni.

Da cardinale, Joseph Ratzinger scriveva che «nella liturgia l’uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto lo sguardo. In essa l’uomo non deve tanto educarsi, quanto contemplare la gloria di Dio»: è questo che è andato perduto?

Per le orecchie del normale cattolico contemporaneo queste parole di Ratzinger sembrano provenire da un tempo assai lontano. Già solo il concetto di “gloria di Dio” può far scrollare la testa dal momento che i teologi hanno abituato i fedeli rimasti a parlare a un “Dio all’altezza degli occhi”.

Negli anni al posto della centralità di Cristo è diventata protagonista la figura del sacerdote e, parallelamente, la partecipazione attiva dei fedeli?

Con il rovesciamento a-storico dell’orientamento del celebrante è divenuto impossibile l’allineamento alla croce. In molti altari oggi non si trova più nessun crocifisso, ma un microfono che fa rimbombare la voce del sacerdote fino all’ultimo angolo, così nessuno si dimentica di lui. Nelle celebrazioni tradizionali il sacerdote scompare, in quanto persona.

Oggi si giudica la riuscita di una celebrazione in base ai momenti di accoglienza, di commiato e di creatività degli organizzatori?

Oggi ogni comunità deve avere un proprio comitato liturgico, nel quale i laici possono immaginare nuovi abbellimenti della liturgia, nuovi programmi musicali e nuove preghiere che pretendono un’autorità che non compete a loro.

Chi crede che il lascito principale di Cristo siano il suo insegnamento e la parola dei vangeli tende a privilegiare gli elementi comunitari della liturgia?

Si è eclissata la coscienza che la liturgia sia actio di Dio. Che in essa non si tratta di insegnamenti, ma della testimonianza dell’azione salvifica di Dio. La catechesi deve avvenire fuori della liturgia, cosa che per altro non si fa più. La Chiesa, almeno in Germania, ha abbandonato l’insegnamento sistematico del catechismo. Gran parte dei fedeli che oggi frequentano la messa conoscono il Credo in modo vago.

Non crede che una certa semplificazione e maggior immediatezza della liturgia abbia favorito l’avvicinarsi di tanti giovani?

La speranza dei “rivoluzionari della messa” era di favorire l’accesso delle masse alla liturgia. Questa speranza è però naufragata. L’abbandono della pratica religiosa è iniziato con la riforma dopo il Concilio vaticano II perché, in fondo, la messa aveva perso il suo magnetismo.

I nostalgici della messa tridentina peccano di estetismo?

Questo è un rimprovero particolarmente maligno perché accusa i sostenitori della messa antica di non essere attaccati a questioni di fede, ma a una sorta di esibizione da operetta. Così si cerca di sviare il fatto che, per larghi strati di fedeli, proprio la nuova formula ha danneggiato il Depositum Fidei.

Che cosa le fa dire che Benedetto XVI avrebbe inaugurato la stagione della “riforma della riforma” introdotta da Paolo VI nel 1969?

Benedetto XVI aveva compreso, già da cardinale, che la rivoluzione della messa aveva provocato un grave danno alla fede. Per sua natura, tuttavia, rifuggiva dalle rotture violente. Egli voleva sanare il danno con prudenza, sperando che attraverso una reintroduzione della preghiera tradizionale dell’offertorio e anche un ritorno della celebrazione rivolta a Oriente, la rottura fosse meno brutale. Come Papa comprese che la resistenza a tali correzioni sarebbe stata insuperabile e così ha stabilito la coesistenza tra antica e nuova messa, nella speranza che una nuova coscienza liturgica sarebbe sorta. Purtroppo, la sua inattesa abdicazione ha compromesso questo tentativo.

Nel luglio 2021 promulgando il motu proprio Traditionis custodes papa Francesco ha ristretto ulteriormente le possibilità di celebrare la messa con il rito antico esprimendo una preoccupazione pastorale per evitare irrigidimenti di piccole comunità.

Bisogna riconoscere che queste preoccupazioni c’erano poiché, attraverso il precedente motu proprio di Benedetto XVI, il Summorum pontificum, la pace liturgica era stata stabilita: le comunità legate al rito antico convivevano con quelle che praticano il rito della riforma. La perpetuazione della liturgia tradizionale mostrava che la Chiesa nel suo credo non era cambiata. Tuttavia, il fatto che nuove generazioni stessero riscoprendo il rito antico deve aver alimentato le preoccupazioni che hanno portato al nuovo motu proprio di Bergoglio.

L’eresia dell’informe deriva dal prevalere del conforme, cioè il pericolo da cui metteva in guardia San Paolo al capitolo 12 della lettera ai Romani?

L’esortazione dell’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo” tocca nel cuore la nostra situazione. Di fatto l’antico rito con la sua accentuazione della gerarchia, del soprannaturale e del sovratemporale costituisce il più importante ed efficace atto di resistenza contro il “mondo” di cui parla Paolo. È il rifiuto deciso di rassegnarsi alle misure dell’anti-cultura contemporanea.

Cosa pensa della dichiarazione Fiducia supplicans firmata dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio Victor Manuel Fernandez e approvata da Francesco, con la quale si consente la benedizione alle coppie omosessuali, che ha fatto esultare gran parte dei vescovi tedeschi, ma ha contemporaneamente alimentato venti di scisma nella Chiesa?

La Fiducia supplicans segue la cattiva prassi già utilizzata nei documenti del Vaticano II, per esempio la Dichiarazione sulla libertà religiosa, di mescolare rottura e tradizione pur dichiarando che la dottrina tramandata della Chiesa rimane intatta. Sono furbizie gesuitiche che Blaise Pascal ha ben descritto in Le provinciali. Certe pseudo sottigliezze, come l’invenzione di differenti classi di benedizioni dietro le quali il prefetto dell’ex Sant’Uffizio si trincera, vengono cancellate dalla prassi e nessuno riuscirà a impedirle. I vescovi tedeschi, in prevalenza vedono il documento come un piegarsi del Vaticano alle loro istanze e si sentono confermati. Il pericolo dello scisma – che, in fondo, per la separazione degli spiriti, sarebbe quasi un bene – con questa soluzione tiepida non è scongiurato. Certi scaltri tatticismi creano danni soprattutto all’autorità della cattedra della Santa Sede.

(Fonte: La Verità)

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