Giuda Iscariota, meglio se non fosse mai nato…

La Tradizione della Chiesa non ha mai avuto dubbi circa la sorte eterna di Giuda, definito da Gesù stesso «figlio della perdizione». Ma ai nostri giorni si leggono articoli, si vedono quadri, si ascoltano prediche in favore della sua salvezza, con la scusa che in fondo la Chiesa non ha mai stabilito la dannazione di alcuno in particolare. Come stanno in verità le cose?

Assolvere perfino Giuda?

di P. Serafino Maria Lanzetta (09-05-2021)

Siamo diventati così buoni e misericordiosi da assolvere anche Giuda.

Certamente la Chiesa non ha mai fatto una canonizzazione al contrario, dichiarando che un’anima è all’Inferno, nemmeno nel caso di Giuda, definito comunque, in tutti i passaggi biblici a lui relativi, “il traditore”. Chiariamo però un fatto: la Chiesa non si è espressa con un pronunciamento solenne nel caso di Giuda, non perché ci fossero mai stati dei dubbi circa la sorte del «figlio della perdizione» (Gv 17,12), ma solo per essere fedele al potere delle chiavi affidato a Pietro, che non riguarda i dannati ma i salvati. Eppure, lo stesso san Pietro negli Atti degli Apostoli descrivendo la morte di Giuda quale condanna di un empio (cf. At 1,16-20 in relazione a Sap 4,19) non lascia molto spazio al pensiero della sua salvezza in extremis.

Non dimentichiamo le parole inequivocabili di Gesù:

«“Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”» (Mt 26,24-25).

Nonostante i vari tentativi di Gesù di vincere il male che si annidava nel cuore di Giuda, non ultimo il suo dargli, durante l’Ultima Cena, il boccone (cf. Gv 12,36) quale segno di affetto e di onorificenza verso colui che rimane «il traditore», Giuda, incallito nel male, volta le spalle a Cristo ed esce dal Cenacolo quando «era notte» (Gv 12,30). Nel cuore di Giuda scende la notte. Giuda agisce nelle tenebre e va nelle tenebre (cf. Mt 22,13).

Il peccato che indurisce Giuda nel male non è tanto il tradimento di Cristo, quanto il disperare della misericordia del Figlio, il cui segno più evidente è l’impiccagione (come descritta dagli Atti degli Apostoli).

Santa Caterina da Siena descrive questo peccato contro lo Spirito Santo in questo modo:

«Questo è quello peccato che non è perdonato né di qua né di là, perché il peccatore non ha voluto, spregiando la mia misericordia; perciò mi è più grave questo che tutti gli altri peccati che ha commessi. Unde la disperazione di Giuda mi spiacque più e fu più grave al mio Figliolo che non fu il tradimento che egli mi fece. Così sono condannati per questo falso giudizio d’aver posto maggiore il peccato loro che la misericordia mia; e perciò sono puniti con le dimonia e cruciati eternamente con loro» (Dialogo della Divina Provvidenza, c. 37).

Oggi invece si assolve Giuda in nome dell’abisso della misericordia di Dio, evidentemente confondendo i termini del problema. Giuda rifiuta la misericordia e dispera: questo è quanto la Chiesa ha ritenuto sempre e unanimemente, mai contraddicendo con dottrine misericordiose la sua certezza morale circa la dannazione di Giuda. Da un po’ in qua, invece, con le tesi avventate in materia di Hans urs von Balthasar, si prova a metterlo in discussione, ipotizzando la salvezza anche dell’Iscariota. Nella chiesa di Magdala in Terra Santa, si è esposta, accanto a quelle degli altri Apostoli, anche l’icona di Giuda (senza aureola e con il gruzzolo di monete in mano). Forse si va ora verso la sua venerazione! Si giunge però così a compromettere il retto rapporto tra giustizia e misericordia. Cosa si prova a fare?

Il problema risiede nella comprensione di ciò che è veramente la misericordia, provando a scambiarla con la carità (o la bontà) perché sia incessante, illimitata e autoreferenziale. Invece misericordia e carità non si identificano, sono due virtù distinte. La sostanziale differenza tra carità e misericordia risiede nel fatto che mentre la carità è Dio in se stesso e quindi Dio che si comunica a noi e ci rende capaci di amare nel dono della sua grazia e del suo amore, la misericordia è la carità donata come riconciliazione e perdono: è amore che ci guarisce e ci restituisce la santità persa con il peccato. Nella carità c’è il dono di Dio a se stesso, nella comunione delle Tre Persone divine, la cui sovrabbondanza è stata riversata su di noi nel dono del Figlio e della sua Redenzione. Nella misericordia di Dio invece confluiscono sempre due elementi: compassione (rahamim) e fedeltà (hesed) verso il suo popolo (cf. Os 2,21 in relazione a Lc 1,78).

La misericordia presuppone da parte di Dio la sua giustizia e la sua carità; da parte dell’uomo il dono della grazia e della carità e queste presuppongono la fede (dopo la prima giustificazione operata dal Battesimo, dono di una giustizia che ci santifica). La misericordia perciò non potrà mai essere automatica. L’amore di Dio non si esaurisce ma è necessaria la risposta dell’uomo, la volontà di essere riconciliato con Lui.

Quindi se la misericordia è carità donata, non potrà essere donata ciecamente, senza una sincera contrizione dei peccati da parte dell’uomo.

Infine, la misericordia non potrà neppure essere un dono che copre i peccati lasciandoci in una condizione oggettiva disordinata pur ritenendoci perdonati ma senza esigere una trasformazione della propria vita. La misericordia di Dio dipende dalla sua giustizia e la sua giustizia si compie nella carità. Come la carità esige la verità, così la misericordia esige la giustizia, altrimenti è falsa.

(Fonte: Il Settimanale di Padre Pio)


L’ultima chance di Giuda

di Suor Ostia del Cuore Immacolato (28-03-2021)

Tra i personaggi della Passione che la Settimana Santa propone alla nostra attenzione, c’è anche quello oscuro di Giuda il traditore, il «figlio della perdizione» (Gv 17,12).

Ciò che sfuggiva ai rozzi Apostoli, non poteva sfuggire alla Madre d’amore, immensamente sensibile tanto all’amore di Gesù quanto all’odio del traditore.

Don Dolindo Ruotolo, nel suo commento ai quattro Vangeli, dedica molto spazio a questa losca figura, cercando di esaminare quelle incognite psicologiche che sono lasciate alla nostra indagine e trapelano con sottile discrezione e precisione da alcuni particolari messi in luce dagli Evangelisti.

Don Dolindo, nell’insieme, mostra quanta predilezione e dolcezza Gesù riservò a colui che sapeva l’avrebbe tradito, tenendo nascosti agli occhi degli altri apostoli quei difetti e quelle mancanze che l’avrebbero smascherato e chiamandolo “amico” persino nel momento in cui si rivelava con il bacio menzognero (cf. Mt 26, 49-59 e Lc 22,48). La delicatezza e l’amore del Figlio dell’uomo fu come sempre esemplare, soprattutto se si considera che Egli vedeva perfettamente come il traditore, lungi dal ravvedersi e migliorare, alimentava e moltiplicava interiormente i sentimenti di odio, ribellione, malvagità, fino ad arrivare alla decisione di venderlo per pochi soldi. Nelle ultime ore della vita terrena del Maestro, come riporta il Vangelo, «Satana entrò in Giuda» (cf. Lc 22,3), ma la misericordia di Gesù lo seguì premurosa fino alla fine.

Il suo sguardo trepidante e materno avrà cercato con indicibile ansia il traditore, nel desiderio di estrarre quella spina acuta dal Cuore del Figlio, non per gettarla nell’abisso qual tizzone d’inferno, ma per trasformarla in rosa d’amore per il Paradiso.

L’ambigua ed emblematica figura di Giuda non poteva non essere motivo di somma sofferenza anche per Maria Santissima.

Il servo di Dio Pier Carlo Landucci, nella sua magistrale mariologia evangelica, ha espressioni decisamente toccanti, che rivelano come la divina Madre di fronte all’apostolo prevaricatore «non poté che dilatare il suo cuore in una estrema impetrazione per la conversione e la salvezza di quell’infelice» (1). Il dolore della Madonna era duplice, sia perché vedeva che, nonostante ogni tentativo, Giuda non dava segni di ravvedimento, sia perché il suo Cuore materno, vibrando all’unisono con quello di Gesù, vi leggeva tutto il dolore provocato da tale perdita.

Il Landucci descrive l’impenitenza finale di Giuda come una vera tragedia:

«Il diabolico pungolo sospinse l’infelice lontano, fino alla morte disperata (cf. Mt 27,5). E invano per lui le misericordiose braccia inesauste si lasciarono inchiodare, a prolungarne il gesto amoroso e straziante sopra la Croce. Le braccia misericordiose di Gesù restarono aperte fino all’ultimo istante verso di lui, sostenute da inesauribile amore, pronte ad accoglierlo nel loro abbraccio vivificatore, appena si fosse rifugiato in esse. Così il Cuore Immacolato lo attese maternamente fino all’ultimo per stringerlo in un amplesso d’amore. Invano!» (2).

Sorprende riscontrare le medesime riflessioni negli scritti della serva di Dio Madre Maria Costanza Zauli che parlano dell’estremo e doloroso tentativo di Gesù e Maria Santissima di riportare Giuda sulla via della grazia. Come Don Dolindo, anche per la Zauli «si sarebbe detto che il divino Maestro prediligesse Giuda sugli altri, tante erano le finezze, le attenzioni che gli usava… Quale strazio per Gesù e per la Madre sua! E quale mistero!» (3).

Ma di questo mistero «dell’iniquità di fronte alla Misericordia più grande», la contemplazione di Madre Maria Costanza coglie e offre un aspetto inedito, che intende mostrare come la Madonna, Madre e Rifugio dei peccatori, abbia tentato veramente il tutto per tutto pur di far breccia nel cuore traviato dell’infelice prevaricatore.

Madre Maria Costanza contempla Maria Santissima, la sera del Giovedì Santo, studiare il momento dell’arrivo degli Apostoli nel Cenacolo:

«Cercò di porsi sulla via che conduceva al Cenacolo, mantenendosi nascosta fino a quando il disgraziato apostolo vi si portò. Arrivò ultimo, a passi concitati, in maniera che si notava in lui qualcosa di sinistro e oscuro. La Madonna voleva dare un tocco soavemente materno a quel cuore travolto dalla passione e, silenziosamente, con l’espressione di un amore che si sarebbe creduto dover trionfare di ogni più ostinata resistenza, si mise là dove quel figliolo avrebbe dovuto necessariamente passare. Giuda di lontano riconobbe Maria ed ebbe un primo moto di urto. Se avesse potuto sfuggirla, lo avrebbe fatto volentieri: quell’incontro – dominato com’era da Satana – gli era insopportabile. Ma l’amorosa Madre, ancor più accorata per quelle diaboliche disposizioni che intuiva con tutta chiarezza, intensificando la sua preghiera all’Altissimo, si avvicinò in maniera da non poter essere evitata. E il miserabile ebbe l’ardire di disprezzare Colei che veniva ad offrirgli la salvezza! Con un urtone villano la respinse, quasi gli tardasse il momento di entrare là ove era atteso, e bieco, torvo, si precipitò nell’atrio del Cenacolo» (4).

Parole eloquenti che invitano a riflettere sulla realtà del rifiuto della misericordia divina non solo da parte di Giuda, ma anche da parte di tanti che come lui, nonostante tutte le opportunità e i richiami possibili, preferiscono liberamente il male che conduce alla perdizione. Quante volte dietro a questi richiami e opportunità, si nasconde proprio la Madre amorosissima di ogni anima, che tenta l’impossibile, rischiando di essere respinta e oltraggiata.

La Zauli conclude descrivendo la Madonna come «la viva statua della sofferenza» per lo schianto e l’amarezza di quel rifiuto. Un rifiuto che le faceva sentire «quanto passava in quel momento nel cuore del Figlio che, col tradimento di Giuda, aveva presenti quanti nel corso dei secoli, per loschi fini, per il più basso interesse, avrebbero rinnovato quel sacrilego mercato…» (5).

Il tradimento di Giuda fu veramente una trafittura lacerante, una pena che trova sempre uniti i due Sacri Cuori davanti al ripetersi moltiplicato di tale misfatto, ogni volta che un’anima, nonostante tutti i richiami e gli inviti della grazia, sceglie di seguire la stessa dinamica di “non ritorno” dalla via della perdizione eterna.

La contemplazione di questo mistero d’iniquità ci sproni ad “ascoltare” e rispondere maggiormente ai palpiti d’amore che i Cuori del Redentore e della Corredentrice hanno a favore delle anime da salvare, donandoci più prontezza e generosità nella pratica della riparazione, sapendo riconoscere quando – come diceva san Pio da Pietrelcina«è Lui che viene a mendicare pene e lacrime: ne ha bisogno per le anime».

Note
1) P. C. Landucci, Maria Santissima nel Vangelo, Edizioni San Paolo, p. 381.

2) Ivi, p. 382.

3) Serva di Dio madre Maria Costanza Zauli, Rosario ed Eucaristia, Città Nuova, p. 75.

4) Ivi, p. 76.

5) Ibidem.

(Fonte: Il Settimanale di Padre Pio)

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